domenica 23 dicembre 2018

L'età di Clausewitz è finita





Giorgio La Pira  20 ottobre 1975

L'ultima lettera di invito del 3 ottobre, relativamente a questa
sessione polacca dell'UNESCO si chiude significativamente 
indicando come fine ultimo della storia intera del mondo e 
come termine ultimo del suo cammino (teleologia della storia!) 
il "sogno secolare" di milioni di uomini semplici e di filosofi, 
il "sogno" della pace universale!

Ma come realizzarlo? Riflettendo su questo problema fondamentale 
della storia presente del mondo -anzi, continuando la riflessione 
che da un ventennio, anche operativamente, ci impegna ogni 
giorno, in certo senso, a Firenze- tre fondamentali questioni 
sono riemerse con maggiore chiarezza e con maggiore urgenza 
ed attualità nella mia mente:

1) La prima concerne l'insuperabile ed urgente necessità di 
"fare il punto" della navigazione storica: cioè, in quale punto 
si trova, nell'oceano della  storia, in questa età nucleare e 
spaziale, la nave in cui è solidalmente ed irrimediabilmente 
imbarcato l'intero genere umano?





sabato 16 giugno 2018

Il metodo Iglesias, leva per cambiare il sistema


Come e perché, oltre la banalizzazione dei media, il caso delle bombe vendute ai sauditi per la guerra nello Yemen sta risvegliando la coscienza di molti  

La Cancelliera Merkel ha ricevuto lo scorso 12 maggio 2018, dai francescani di Assisi, la lampada della pace come giusto riconoscimento dell’adozione di una politica di accoglienza dei migranti. Nelle grandi occasioni è raro trovare qualcuno pronto a rompere il protocollo. Lo ha fatto un giovane che fa parte del comitato per la riconversione Rwm e abita a Rivotorto, il luogo  della conversione, con l’abraccio al lebbroso,del ricco figlio di Pietro Di Bernardone. A chi determina, da Berlino, la linea politica all’Europa intera, l’ universitario Alessio Lanfaloni ha chiesto con pacatezza il perché dell’invio dall’Italia in Arabia Saudita, impegnata nel conflitto in Yemen, delle bombe per aereo prodotte da una fabbrica, la Rwm Italia operativa nel Sulcis Iglesiente, in Sardegna, e sede a Ghedi, Brescia,ma controllata dalla tedesca Rheinmetall Defence, multinazionale che produce armi dai tempi di Bismarck ed ex ministri nel consiglio di amministrazione.

L’ultimo accordo della grande coalizione di governo della Cdu con i social democratici, in Germania, prevede l’impegno a non esportare armi verso le zone di conflitto, e in primo luogo verso l’Arabia Saudita. Formalmente la norma è rispettata perché l’intero ciclo, dalla produzione alla spedizione, si consuma nel nostro Paese. Come se non esistesse la legge 185 del 1990 conquistata da parte dei lavoratori obiettori alla produzione bellica. Come se non esistesse la Costituzione nel suo insieme. 

Perché una grande potenza economica deve usare questi stratagemmi giustificando il tutto con la scusa di creare lavoro in una delle zone impoverite dell’Italia?  D’altra parte lo stesso Gentiloni, rispondendo quando era ministro degli Esteri ad una interrogazione parlamentare sulla vicenda Rwm, ha citato i Paesi alleati, dalla Gran Bretagna alla stessa Germania, che sono molto più coinvolti del nostro nell’export ai Sauditi. Per non parlare del patto vigente tra Riyad e Washington,  il vero convitato di pietra che ostacola ogni presa di posizione autonoma dei nostri rappresentanti politici. Vanno studiate le dichiarazioni di quei partiti che il 19 settembre 2017, in maniera trasversale, hanno affossato nell’aula della Camera una serie di mozioni promosse, da sinistra e 5stelle, per interrompere l’invio di e l’avvio di programmi di riconversione economica in Sardegna.  

Alla fine, nonostante il voto di coscienza di singoli deputati della passata maggioranza, l’Aula ha adottato una risoluzione generica, presentata all’ultimo momento dalla dem Quartapelle, che ignora la questione bombe e si limita ad assicurare interventi umanitari.
In tal modo sono state umiliate le istanze avanzate in una affollata conferenza stampa del 21 giugno promossa da Rete disarmo, Banca etica  e le sezioni italiane di Amnesty, Oxfam e Focolari per dare voce ai rappresentanti di Medici senza frontiere, che hanno subito il bombardamento delle loro strutture ospedaliere, e a Arnaldo Scarpa, portavoce del comitato Riconversione Rwm, nato nel maggio del 2017 dopo una marcia, inaspettatamente numerosa, promossa nell’antica città mineraria di Iglesias dal Movimento dei Focolari per far emergere e ascoltare quelle realtà che, almeno dal 2001, non accettano la conversione, con fondi pubblici, di quella fabbrica di esplosivi, destinati alle miniere, alla produzione bellica pesante. 

Il “metodo Iglesias” comporta l’ostinazione a non fermarsi alla denuncia per adoperarsi a cercare di cambiare, assieme, lo stato delle cose, cercando alleanze e promuovendo il risveglio della coscienza. Non accontentarsi alla raffigurazione del “nemico”, troppo grande da superare, per cercare di offrire un percorso ragionevole, superando l’indifferenza che, spesso, è un estrema manifestazione del dolore di una terra violata da una crisi economica senza fine. C’è gente che si è reclusa per mesi nelle miniere o davanti a fabbriche delocalizzate all’estero per cercare di salvare occupazione e dignità. La bella parola “conversione” suona come una minaccia per chi conosce le pratiche aziendali che la usano come un’arma per chiudere, precarizzare e demansionare. 

Eppure il comitato è riuscito a convincere il consiglio comunale di Iglesias che, il 19 luglio 2017, ha definito la città come luogo di pace rispondendo alle richieste della Rwm che vuole estendere la produzione dalla confinante Domusnovas. E, poi, il 3 dicembre 2017, sempre ad Iglesias, si è tenuto un seminario partendo dalla ribellione alla produzione bellica, raccontata da  Elio Pagani, obiettore all’Aermacchi negli anni ’80, fino alla proposte reali e concrete di una riconversione integrale del territorio. L’esempio della riscoperta e pratica dell’antico cammino minerario di santa Barbara,che si snoda per 400 km in un paesaggio di rara bellezza, vale come attenzione reale alla terra. Si è registrata anche l’attenzione delle facoltà di economia e ingegneria della università di Cagliari. Insomma tutto ciò che il Piano Sulcis, finanziato da anni, non dovrebbe ignorare.

Ma il problema in questi casi è quello di un informazione incapace di cogliere la vera notizia di un pezzo di umanità refrattaria al potere prevalente, preferendo, così, le immagini dell’operaio che fugge dalla telecamera azionata per inchiodarlo alla sua responsabilità. Oppure addirittura andando a raccogliere chiacchiere nei bar tra gli avventori che rivendicano la produzione legale (“lo dice la Pinotti!”) di bombe con ragionamenti sentiti anche in Parlamento: “non siamo noi che fermiamo le guerre, altri produrranno armi al nostro posto”. Come se davvero la responsabilità della mancanza di una politica industriale nazionale e le obbedienze internazionali si potessero addebitare ad una popolazione consegnata alla marginalità che fa notizia solo per un frammento del tg se del fatto ne parla (addirittura!)il New York Times.
Per questo motivi la rete internazionale dei comunicatori di Net One ha promosso il 5 maggio un seminario su giornalismo e pace nel teatro Elettra di Iglesias, per poi continuare l’incontro con la città nelle manifestazioni promosse dal comitato riconversione. In contemporanea è stato emesso un comunicato del vescovo di Iglesias, Giovanni Paolo Zedda, a favore del lavoro che dà vita e non morte. Anche l’ex patron di Tiscali, e attuale eurodeputato Renato Soru, ha voluto esprimere pubblicamente, con effetti a catena nel suo schieramento, la necessità irrinunciabile di una Sardegna come “isola di pace”.
Una specie, insomma, di giubileo con la presenza di Bonyam Gamal, attivista yemenita per i diritti umani, presente in Europa per denunciare, assieme a Rete Disarmo e i corrispondenti tedeschi, la responsabilità politiche italiane e quelle del gruppo industriale tedesco. 

Al racconto della sofferenza subita da un’intera famiglia yemenita, distrutta da quelle bombe usate dalla coalizione saudita in un conflitto che rientra nella “geopolitica del caos”, il sindaco di Iglesias ha rindossato la fascia tricolore, esibita poco prima al ricevimento del premio dall’Associazione Città per la fraternità, per andare a stringere la mano a quella ragazza che parlava senza odio. Un gesto liberatorio dal legame di morte, costruito dalla potenza del denaro tra terre lontane. L’inizio di un principio di ordine dalla follia della guerra che è possibile ricomporre.
La marcia mattutina della domenica 6 maggio sul sentiero iniziale del cammino minerario, iniziato davanti al palazzo comunale per finire al convento delle clarisse del convento di santa Chiara, posto sulla collina che protegge l’elegante città sarda dalle antiche mura, ha coinvolto  persone di diverso credo e convinzione.
Fare di quanto sta accadendo solo una questione locale, da sminuire o esaltare come caso raro, vuol dire non aver compreso che questa dimostrazione del “dovere della rivolta”, come diceva Mazzolari, verso “l’economia che uccide”, non solo con le armi, può rivelarsi la prima decisiva incrinatura di un sistema iniquo. L’occasione per salvare la nostra umanità. 

Carlo Cefaloni su Mosaico di Pace 
 https://www.mosaicodipace.it/mosaico/a/45447.html

domenica 15 aprile 2018

Bombe e diritti umani

Responsabilità italiane nelle violazioni di diritti umani in Yemen: le autorità e i produttori di armi sono complici di un attacco aereo dall’esito mortale, sferrato dalla coalizione guidata dall’Arabia Saudita?

18 aprile 2018 alle ore 11:00 
Sala Conferenze - Associazione della Stampa Estera in Italia
Via dell’Umiltà, 83/C - Roma

Da oltre tre anni lo Yemen è devastato da un conflitto armato: le forze Houthi stanno combattendo contro le truppe fedeli al presidente Abd Rabbuh Mansur Hadi e contro i gruppi militari sostenuti dalla coalizione guidata dall'Arabia Saudita e composta da Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Kuwait, Egitto, Giordania, Marocco, Senegal, Sudan e inizialmente Qatar. La popolazione civile yemenita sta affrontando una grave crisi umanitaria, mentre tutte le parti in conflitto hanno ripetutamente violato i diritti umani. Gli attacchi aerei sferrati dalla coalizione militare guidata dall'Arabia Saudita costituiscono secondo le Nazioni Unite una violazione del diritto umanitario internazionale.
Nonostante le denunciate violazioni dei diritti umani e l'impatto devastante del conflitto armato in corso sulla popolazione,  l'Italia continua ad esportare armi verso i membri della coalizione militare guidata dall'Arabia Saudita, in pieno contrasto con quanto previsto dalla Legge italiana n. 185/1990, che vieta l'esportazione di armi "verso paesi in conflitto armato", e anche contro gli obblighi derivanti dalle norme UE sul controllo delle esportazioni di e contro le prescrizioni contenute nel Trattato internazionale sul Commercio di Armi ratificato all'unanimità dall'Italia.
L’azione legale avviata dall’European Center for Constitutional and Human Rights (ECCHR), da Mwatana Organization for Human Rights, con sede nello Yemen, e dalla Rete Italiana per il Disarmo si concentra sul ruolo dell'Italia in queste esportazioni di armi e prenderà in considerazione la responsabilità penale delle autorità e delle società coinvolte.
Ulteriori dettagli relativi all’iniziativa legale saranno presentati durante la conferenza stampa, alla quale parteciperanno: 

Bonyan Gamal, Mwatana Organization for Human Rights
Francesco Vignarca, Rete Italiana per il Disarmo
Linde Bryk, ECCHR
Francesca Cancellaro, avvocato dello Studio Legale Gamberini 

Saranno presenti rappresentanti delle organizzazioni italiane che da tempo lavorano in coalizione sulla questione del conflitto armato in Yemen: Amnesty International Italia, Fondazione Finanza Etica, Movimento dei Focolari, Rete della Pace, Opal Brescia. I relatori rifletteranno sul conflitto in Yemen, sul ruolo dell'Italia nell'esportazione di armi ai membri della coalizione militare guidata dall'Arabia Saudita impiegate in Yemen e sulle responsabilità dell'Italia in questo contesto.

L'evento si terrà in italiano e inglese. Sarà disponibile una traduzione consecutiva. 
Saremo lieti di darvi il benvenuto alla conferenza stampa e vi invitiamo a registrare la vostra presenza all’indirizzo mail segreteria@disarmo.org entro il 17 aprile 2018 (si prega di notare che non verrà inviata alcuna conferma). 

lunedì 9 aprile 2018

Exportarmi nel 2017



Export armi: UAMA commenta dati 2017 prima che siano pubblici e trasmessi al nuovo Parlamento

Grave sgarbo istituzionale: le prime indiscrezioni sui dati dell'export militare italiano per il 2017 riportate in un'intervista del Direttore UAMA (Unità Autorizzazioni Materiali d'Armamento) senza che la Relazione al Parlamento (prevista dalla 185/90) sia stata pubblicata o trasmessa.

Le autorizzazioni verso l'Arabia Saudita sensibilmente ridotte ma ancora cospicue: il Governo non ha ascoltato gli appelli a fermare l'invio di ordigni a chi li utilizza per il conflitto in Yemen.

Solo grazie ad un lancio di agenzia datato 3 aprile che riporta i commenti del Direttore dell’Autorità Nazionale che in seno al MAECI rilascia le licenze per l’esportazione di armamenti siamo venuti a conoscenza di primi dati parziali sulle autorizzazioni all'esportazione di armamenti rilasciate nel 2017. Il direttore dell'Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento (UAMA) Ministro Francesco Azzarello in un dialogo riportato dall'ANSA non ha solo reso noti alcuni dati sull'export militare italiano riferiti al 2017, ma ha svolto una serie di considerazioni anche di tipo politico prima dell'invio al Parlamento della Relazione sulle esportazioni di sistemi militari italiani prevista dalla Legge 185/90.

mercoledì 28 marzo 2018

Centraltà del Parlamento e ripudio della guerra


Il nuovo Parlamento sospenda l’invio di armi 
che alimentano il conflitto in Yemen

A tre anni esatti dall'inizio della conflitto, richiediamo con fermezza alle istituzioni italiane, ai Paesi membri ed all'Unione Europea di sospendere l’invio di armamenti alle parti in conflitto in Yemen e di sollecitare una iniziativa di pace a guida ONU


Non possiamo più chiudere gli occhi davanti alla catastrofe umanitaria che da tre anni si sta perpetrando in Yemen anche con armi italiane. Per questo chiediamo che la prima iniziativa del Parlamento italiano sia quella di conformarsi alle risoluzioni, votate ad ampia maggioranza nel Parlamento europeo, che chiedono di promuovere un embargo di armamenti verso l’Arabia Saudita e i suoi alleati in considerazione del  coinvolgimento nelle gravi violazioni del diritto umanitario in Yemen accertate dalle autorità competenti delle Nazioni Unite. Chiediamo inoltre al prossimo Governo di farsi promotore della medesima istanza in sede di Consiglio europeo e di avviare un’iniziativa multilaterale per promuovere la fine del conflitto e il processo di pace in Yemen.

L'Italia e l'Unione Europea non possono continuare ad essere complici del disastro umanitario e della carneficina in corso in Yemen. Un confitto sanguinoso che sta colpendo soprattutto la popolazione civile da tre anni, cioè da quando la coalizione guidata dall'Arabia Saudita, senza alcun mandato internazionale, ha iniziato i primi bombardamenti sul territorio yemenita il 25 marzo 2015. Tre anni di guerra hanno portato a una situazione drammatica ed insostenibile per la popolazione locale (oltre 22 milioni di persone in condizioni di emergenza umanitaria), con più di 9 mila  morti, di cui 6 mila civili, causati da scontri tra le parti in conflitto e e bombardamenti quotidiani soprattutto su aree cittadine. La crisi umanitaria è senza precedenti con difficoltà di accesso al cibo e acqua e con emergenze sanitarie sempre crescenti, nei mesi scorsi contraddistinte anche da epidemie di colera (1 milione di casi di colera ed 1 altro milione a rischio), inasprite dal blocco navale deciso dalla coalizione Saudita che impedisce l'arrivo di aiuti umanitari.

La richiesta della società civile italiana (in linea con le richieste internazionali tra cui la recenti decisioni del Consiglio di Sicurezza ONU che chiede il via libera agli aiuti umanitari oltre ad indagini sulle violazioni del diritto internazionale commesse in questi tre anni) continua d essere con forza quella di fermare le ostilità e permettere l'assistenza umanitaria alla popolazione e l’avvio di un percorso di pacificazione che parta in primo luogo dalle necessità della popolazione civile. Chiediamo con forza che cessino gli attacchi ad ospedali, luoghi di cura ed abitazioni.
In questi tre anni la guerra è stata condotta con armi fornite principalmente dall’Occidente e dai maggiori produttori di armamenti. Tra di essi anche l’Italia che ha consentito l'invio all'Arabia Saudita e ai propri alleati di bombe ed altri armamenti in quantità mai registrata prima, con un livello record di autorizzazioni per centinaia di milioni di euro. Le licenze rilasciate hanno già consentito negli ultimi mesi l’invio di migliaia di ordigni - sicuramente utilizzati nel conflitto, come dimostrano numerose prove raccolte sul campo - e la messa in produzione di nuove forniture che potrebbero giungere nei luoghi di ostilità nelle prossime settimane.
Contribuendo a rendere ancora più insostenibile una situazione già drammatica; tutti gli osservatori indipendenti ed anche autorevoli e anche autorevoli prese di posizione e Rapporti delle Nazioni Unite hanno sottolineato le violazioni del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani perpetrate in Yemen da tutte le parti in conflitto. 


Comunicato stampa congiunto

Amnesty International Italia – Movimento dei Focolari – Fondazione Finanza Etica
Oxfam Italia – Rete della Pace – Rete Italiana per il Disarmo

27 marzo 2018