mercoledì 25 ottobre 2017

Il ripudio della guerra nasce in famiglia





Intervento di Arnaldo Scarpa e Adele Collu nella settima promossa dal Forum delle associazioni familiari del Lazio “Famiglia, la sfida di educare”
Roma, 1 – 8 ottobre 2017. Otto giorni di eventi per ascoltare la vita delle famiglie, con le gioie e le fatiche di ogni giorno. Spazi e luoghi che diventano laboratori per riflettere insieme e costruire il futuro.

Veniamo dalla Sardegna, abbiamo 3 figli e siamo entrambi insegnanti. D'informatica Arnaldo ed io di Scienze nella scuola secondaria di primo e secondo grado ma anche nella scuola primaria, per cui sono abilitata. Quando ci siamo sposati abbiamo deciso di andare ad abitare ad Iglesias. Io studiavo ancora Scienze Naturali e Arnaldo era precario (io lo sono ancora) ma Iglesias ci sembrava il posto dove più probabilmente sarebbe arrivato il passaggio in ruolo per Arnaldo e dove le dimensioni non eccessive della città (circa 30.000 abitanti) avrebbero potuto offrire maggiore tranquillità alla nostra famiglia, in particolare ai figli che sarebbero potuti arrivare.
Inoltre la sua storia ultramillenaria, la natura montuosa del territorio e le belle architetture lasciate dall'epoca d'oro delle miniere, tra l'800 ed il 900, la rendevano ai nostri occhi ancora più accogliente. Oltre ai tanti cari amici che già avevamo in città.

ARNALDO
La nostra formazione giovanile era stata per entrambi nel Movimento dei Focolari, io a Sassari e Adele a Cagliari. Distanti, per localizzazione geografica ma uniti dallo stesso ideale dell'unità e dalle esperienze condivise con altri giovani di tutto il mondo. Ricordo che, quando, nel 1978, a 12 anni, partecipai al mio primo Convegno Internazionale a Rocca di Papa eravamo nel pieno degli “anni di piombo”, Aldo Moro era appena stato ucciso dalle Brigate Rosse e in Italia si respirava un'aria pesante ma il Convegno era stato un tripudio di gioia proprio per la presenza di ragazzi di tutta l'Italia (non ancora globalizzata come ora) e di tante parti del mondo che si volevano bene veramente con tutto il cuore in un epoca in cui il dialogo tra est ed ovest sembrava impossibile.
Tornai in Sardegna con la convinzione che la Pace era possibile perché noi l'avevamo sperimentata e saremmo riusciti a portarla in tutti i nostri Paesi.
In quegli anni Chiara Lubich aveva lanciato ai giovani ed ai ragazzi una serie di “operazioni” i cui slogan erano “operazione Africa”, “operazione Asia”, “Morire per la propria gente”, “Uomo-Mondo”. Nel tempo le avremmo fatte nostre e ci avrebbero trasformato facendoci sentire in profondità di essere tasselli di un processo che, anche attraverso di noi, avrebbe potuto trasformare il mondo.
Se i ragazzi dell'est europeo potevano come me credere nell'unità, come potevo io considerare quei Paesi nemici, come il pensiero dominante, in tempi di guerra fredda, mi imponeva? Era necessaria una ribellione profonda e sentivo che stava avvenendo dentro di me. Gli scritti di Igino Giordani, politico, costituente e scrittore antifascista, che, anche se solo per pochi momenti, avevo avuto l’occasione di conoscere personalmente, sostenevano il mio impegno per la pace. Egli era stato il primo presentatore di un disegno di legge sull’obiezione di coscienza e, insieme a don Milani, mi appariva come un esempio luminoso.
Quando arrivò il momento del servizio di leva era, per me, ben chiaro che per essere coerente con ciò che avevo vissuto per anni, non potevo accettare di far parte di un'organizzazione che, anche se orientata alla difesa, portava in sé stessa la possibilità di attaccare, e ipoteticamente uccidere, quei miei fratelli lontani. Fu subito dopo il nostro fidanzamento che fui chiamato a svolgere il Servizio Civile come obiettore di coscienza alla Caritas di Sassari per 2 anni.

ADELE: Anche se la scelta di Arnaldo avrebbe comportato l’allungarsi della nostra lontananza, la condividevo.  Sono la prima di 7 figli ai quali è stato insegnato con l’esempio il rispetto reciproco e l'importanza della pace con tutti. A 17 anni, ho scoperto come si potevano mettere in pratica le parole del Vangelo nella vita di tutti i giorni e ho deciso di impegnarmi a farlo. Anch’io ebbi l’opportunità di vivere un’esperienza unica: oltre due settimane trascorse con una cinquantina di coetanee provenienti da regioni, nazioni e continenti diversi dal mio. In quei giorni ho toccato con mano usi e costumi che hanno notevolmente arricchito la mia esperienza di vita rafforzando il mio desiderio di dialogo universale. La scelta del Vangelo mi ha e ci ha forgiato e continua a farlo anche come famiglia spronandoci a trovare tutti i modi per ricostruire il rapporto nei momenti difficili in cui stanchezza, incomprensioni, equivoci… la fanno da padrone.
Cerchiamo di essere attenti sui metodi più idonei per risolvere pacificamente un conflitto fra noi e con i nostri figli attraverso l’ascolto ed un dialogo sempre più aperto. Più di una volta sono stati loro a rimetterci in carreggiata.
Anche come insegnante ho mille occasioni per testimoniare il mio ripudio per la guerra: dal perdonare un’alunna di prima superiore che, dopo avermi insultata verbalmente, si apprestava a sferrarmi un pugno e, a fine anno si è stupita della mia disponibilità a darle una mano nel recuperare le materie in cui aveva difficoltà (quando mi capita di incontrarla è sempre felice di vedermi); al sopportare con pazienza una alunna oppositiva provocatoria di terza elementare che ora ha piena fiducia nel nostro rapporto; ad esprimermi con delicatezza e fermezza verso una collega cristiana praticante che non riusciva a tollerare dei genitori che avevano espresso riserve sul suo metodo e poi, commossa, ha avuto il coraggio di scusarsi suscitando la reciprocità.
  All'approssimarsi delle nozze sentimmo di scrivere a Giovanni Paolo II che volevamo essere una “… famiglia aperta ai fratelli” e in questi 23 anni ad Iglesias ciò si è verificato spesso, nei rapporti privati e attraverso l'impegno in iniziative di carattere sociale ed ecclesiale, per esempio avviando un percorso sulla genitorialità dal titolo: “s.o.s. famiglia: aiutiamoci ad educare”, rivolto a genitori, educatori, insegnanti, nonni e chiunque fosse interessato a mettersi in discussione ma anche impegnandoci negli organi collegiali della scuola.

ARNALDO: nel maggio di quest'anno la comunità di Iglesias si è fatta promotrice di una iniziativa per la pace a partire dalla presenza di una fabbrica di bombe d'aereo sul territorio comunale, a pochi chilometri dalla città. Alla marcia ed al successivo dibattito in piazza, hanno partecipato le realtà più diverse, molte delle quali di orientamento non cristiano e non religioso come alcuni gruppi pacifisti di riferimento anarchico.
Nei giorni immediatamente successivi, si è costituito un Comitato formato da tutte queste organizzazioni che, dopo tanti anni, finalmente si esprimono ad una sola voce.   
Tra i territori di Iglesias e Domusnovas si trova l'unico stabilimento produttivo della Rwm Italia spa. Tale impresa è autorizzata dal governo italiano a produrre e vendere migliaia di bombe all'Arabia Saudita che, come sappiamo ormai inequivocabilmente, le utilizza per bombardare lo Yemen senza fare distinzione tra obiettivi civili e militari e colpendo ospedali, scuole, pozzi, convogli umanitari. In due anni sono stati uccise varie migliaia di civili ed il paese è stato messo in ginocchio anche da una epidemia di colera incrementata dalla scarsità di acqua pulita a causa dei bombardamenti di pozzi e condutture, oltre che, naturalmente dalla difficoltà di ricevere cure mediche adeguate. La presenza di questa fabbrica vicino alle nostre case, dove lavorano persone che conosciamo, ha fatto sì che ci interrogassimo profondamente e ci ha spinto ad agire per ottenere l'interruzione della produzione ed avviare un processo di riconversione dei posti di lavoro. A nome di tutta la comunità il 3 maggio scorso abbiamo inviato una lettera a Papa Francesco che vi leggiamo: …

Il 3 giugno, esattamente un mese dopo la nostra lettera, il Papa ci ha risposto, attraverso il sostituto della Segreteria di Stato Mons. Becciu, scrivendo tra il resto …
Ci ha colpito che il Papa abbia risposto ai “coniugi Scarpa” e non alla comunità quasi apprezzando e riconoscendo che la famiglia è titolata ad interessarsi di pace e di disarmo.

ADELE: d'altra parte è il papa dell'Amoris Laetitia che, al n.181, dice: «le famiglie cristiane non dimentichino che «la fede non ci toglie dal mondo, ma ci inserisce più profondamente in esso. […] ognuno di noi, infatti, svolge un ruolo speciale nella preparazione della venuta del regno di dio». La famiglia non deve pensare sé stessa come un recinto chiamato a proteggersi dalla società. Non rimane ad aspettare, ma esce da sé nella ricerca solidale. In tal modo diventa un luogo d’integrazione della persona con la società e un punto di unione tra il pubblico e il privato. i coniugi hanno bisogno di acquisire una chiara e convinta consapevolezza riguardo ai loro doveri sociali. Quando questo accade, l’affetto che li unisce non viene meno, ma si riempie di nuova luce, come esprimono i seguenti versi:

«Le tue mani sono la mia carezza - i miei accordi quotidiani - ti amo perché le tue mani - si adoperano per la giustizia.
Se ti amo è perché sei - il mio amore la mia complice e tutto - e per la strada fianco a fianco - siamo molto più di due».
(Mario Benedetti, “Te quiero”, in Poemas de otros, Buenos Aires 1993, 316.) »

ARNALDO: la ricerca della pace però non prescinde, anzi necessita, della giustizia e della verità ed volte è necessario assumere anche posizioni scomode.
Anche la questione Rwm ne è un esempio. In un territorio ad altissimo tasso di disoccupazione come il nostro e dove il bisogno di lavorare ha, da sempre, messo in secondo piano la qualità del lavoro, sostenere che un'attività che produce ed assume debba essere chiusa (anche se per essere riconvertita o sostituita) è un messaggio inaccettabile per una gran parte delle persone. Soprattutto laddove gli amministratori locali hanno, per decenni, fatto passare l'idea che quella fabbrica fosse insostituibile.
A seguito delle iniziative del Comitato, in maniera più o meno velata, è arrivata anche qualche minaccia, attraverso i social network. Un po' ci hanno preoccupato ma … ne è scaturita anche una maggiore unità familiare. La ricerca della pace ha bisogno della famiglia e della comunità. Dove trovare altrimenti la forza per superare il disfattismo della gente da una parte e la prepotenza del sistema economico-finanziario dall'altra?
E, in A.L., n.183, leggiamo: “Una coppia di sposi che sperimenta la forza dell’amore, sa che tale amore è chiamato a sanare le ferite degli abbandonati, a instaurare la cultura dell’incontro, a lottare per la giustizia. Dio ha affidato alla famiglia il progetto di rendere “domestico” il mondo, ...”
Ecco, questo “rendere domestico il mondo” per noi significa anche cercare di estendere i rapporti pacifici e nonviolenti che ci sforziamo di avere fra noi – in famiglia -, con le altre famiglie, in comunità, con le istituzioni civili, verso gli altri popoli e Stati.
Vediamo che anche i nostri figli hanno assorbito una mentalità di pace. Sono tutti e tre scouts e a scuola come nel gruppo, cercano anche loro di favorire la formazione di rapporti pacifici.
Concludendo … l’azione in Sardegna esprime l’impegno del Movimento dei Focolari in italia che, insieme a tante altre organizzazioni della società civile, sta spingendo per attivare processi di riconversione culturale ed economica pacifici e sostenibili. 
Il 21 giugno, come portavoce del Comitato per la Riconversione della Rwm, ho potuto portare questa istanza di pace alla Camera dei Deputati partecipando alla Conferenza Stampa con Rete Italiana Disarmo, Oxfam, Medici senza frontiere, Amnesty International, Rete Pace e Banca Etica. Il 19 luglio, straordinariamente, il Consiglio Comunale, unanime, ha dichiarato Iglesias Citta' della Pace e della Solidarieta' e ha espresso la volontà di promuovere la riconversione dei posti di lavoro dell'Rwm.
Nonostante la bocciatura di settembre della mozione alla Camera, sta crescendo la consapevolezza di un cammino di riscatto non solo per il Sulcis ma per tutta l’Italia. Arrivano manifestazioni di sostegno da tutto il Paese e oltre. L’ultima edizione di LoppianoLab, dedicata a declinare l’invito di Francesco a “cambiare le regole del gioco e quindi le strutture che producono vittime e briganti” ha rilanciato la questione della produzione delle bombe con l’intervento anche del direttore di Avvenire, Marco Tarquinio.
Il Movimento dei Focolari ha chiesto che la questione del lavoro del Sulcis sia oggetto della prossima Settimana Sociale in programma a Cagliari ed il responsabile dell’Ufficio Pastorale della Famiglia della CEI, d. Paolo Gentili, ha rilanciato questo esempio nel suo ultimo intervento su Citta Nuova.
Con la nostra esperienza, possiamo dire che la famiglia è custode della vita e generatrice di percorsi di pace nella giustizia. Un cammino difficile ma affascinante che chiama alla condivisione.

Adele Collu e Arnaldo Scarpa fanno parte del Comitato per la riconversione della RWM Italia, la pace, il lavoro sostenibile, la riconversione dell’industria bellica e il disarmo, la partecipazione civica a processi di cambiamento, la valorizzazione del patrimonio ambientale e sociale del Sulcis Iglesiente

La traccia di Tonino Bello



Era il 2 febbraio 1986 quando l’allora Presidente Nazionale di Pax Christi. don Tonino Bello Vescovo di Molfetta, scrisse una Lettera al fratello che lavora in una fabbrica di armi. A distanza di anni e alla luce di quanto succede anche in questi mesi in Italia, con la questione della RWM di Domusnovas, è un testo ancora di grande attualità. Innanzitutto perché pone in evidenza la questione etica: “collaborare alla costruzione di strumenti di morte”. Poi perché evidenzia che l’industria delle armi non garantisce un maggior numero di posti di lavoro. Anzi! Su questi temi, come coordinatore di Pax Christi, credo sia importante lavorare insieme. L’esperienza della Valsella di Brescia, nota fabbrica produttrice di mine, il suo impegno di riconversione che ha visto la collaborazione di tutti: società civile, missionari, comunità cristiane, sindacati, ecc. può essere un esempio.
Perché non aprire un tavolo di riflessione sulla riconversione? Con gli operai, i titolari della RWM, la società civile, la Chiesa, i sindacati, il mondo politico?
E’ in gioco la Vita. Il rispetto della Costituzione e della legge 185/90.
d. Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi
Ecco alcuni brani della lettera...
              “Caro operaio, ...
non regge a nessuno l’animo di dirti che, se pure incolpevolmente, tu collabori a seminare morte sulla terra. E neanche io te lo voglio dire.
Hai già tanti problemi sulle spalle, che non mi sento di gravarti la coscienza di un ulteriore fardello. Sei così preoccupato, come tutti i lavoratori, dagli spettri della fame, che non mi va di intossicarti anche quei quattro soldi che ti danno.
Hai così viva la percezione di essere vittima di una squallida catena di sfruttamento, che sarebbe crudeltà dirti senza mezzi termini che, oltre che oppresso, sei anche oppressore. Mi sembrerebbe di ucciderti moralmente prima ancora che le armi confezionate dalle tue mani potessero fare strage di altri innocenti.
Povero fratello operaio. Sei veramente chiuso in una spira mortale direbbe Ungaretti che non era un economista neppure lui, e neanche un alto funzionario dei ministeri romani. Ma era un uomo.
Quell’uomo che ti auguro di riscoprire in te, e che ti fa vomitare di disturbo di fronte all’ipocrisia di chi, con un occhio piange di commozione sulla fame del Terzo Mondo, e con l’altro fa cenno d’intesa con i generali. Quell’uomo che si ribella in te quando scorge che, dopo mezzo secolo, c’è ancora chi in alto loco è sensibile al fascino di antichi ritornelli imperiali, trascritti purtroppo sullo stesso pentagramma di profitto: colonnello non voglio pane; voglio piombo pel mio moschetto!.  ...
Quell’uomo interiore che rimane mortificato quando sa che la stessa cifra stanziata dall’Italia per armamenti, destinata invece per programmi civili, creerebbe trentamila posti di lavoro in più. Quell’uomo pulito che dorme dentro di te, e che la sera, quando torni a casa, ti spinge ad accarezzare senza titubanze il volto dolcissimo della tua donna; e ti fa porre le mani sul capo incontaminato dei tuoi figli, senza paura che un giorno si ritorcano su di loro, come un tragico boomerang, le armi che quelle stesse mani hanno costruito.
Certo, se io fossi coraggioso come Giovanni Paolo II, dovrei ripeterti le sue parole accorate: “Siano disertati i laboratori e le officine della morte per i laboratori della vita!”. Ma, a parte il debito di audacia, debbo riconoscere che il Papa si rivolgeva agli scienziati. I quali, di solito almeno economicamente, hanno più di una ruota di scorta.
Tu invece ne sei privo. E anche le ruote necessarie, se non sono proprio forate, hanno le gomme troppo lisce perchè tu possa permetterti manovre pericolose. Non ti esorto perciò, almeno per ora, a quella forte testimonianza profetica di pagare, con la perdita del posto di lavoro, il rifiuto di collaborare alla costruzione di strumenti di morte.
Ma ti incoraggio a batterti perchè si attui al più presto, e in termini perentori, la conversione dell’industria bellica in impianti civili, produttori di beni, atti a migliorare la qualità della vita. E’ un progetto che va portato avanti.
Da te. Dai sindacati. Da tutti. Con urgenza. Con forza. ...
Ti abbraccio, don Tonino Bello “